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venerdì 18 maggio 2012

Agevolazioni prima casa per l’erede

Di seguito, le condizioni per cui possono essere richieste le agevolazioni sulla prima casa per l’erede.


Agevolazioni prima casa per l’erede



Le agevolazioni “prima casa” per i trasferimenti di immobili “non di lusso”, che derivano da successioni e donazioni, possono essere richieste per conto dell’erede deceduto prima di aver presentato la dichiarazione di successione, anche dal secondo erede, cioè dal soggetto successivo chiamato all’eredità, a condizione che tale soggetto abbia i requisiti previsti per fruire del regime di favore, alla data di apertura della successione.

Questo, in sintesi, il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 40/E, del 26 aprile 2012, in risposta al quesito di un contribuente che, dovendo presentare le dichiarazioni di successione dei propri genitori, entrambi deceduti a breve distanza di tempo l’uno dall’altro e proprietari, per il 50% ciascuno, di un immobile adibito ad abitazione principale, chiedeva l’applicazione delle suddette agevolazioni, in nome e per conto della madre deceduta, in possesso dei requisiti previsti dalla legge.

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lunedì 7 maggio 2012

Imu più pesante sulle case più grandi


Imu più pesante sulle case più grandi

Milano verso l'aliquota massima, 1,06 per cento sulle seconde case Possibili risparmi per gli immobili con rendita fino a 500 euro

MILANO - L'Imu sulla prima casa sarà davvero una stangata? Il tema tiene banco ormai da mesi e nelle ultime settimane ha infiammato anche il dibattito politico, complice, sospettiamo, la campagna elettorale. La risposta al dilemma non è univoca, innanzitutto perché le aliquote non sono definitive e poi perché dipende da quale termine di paragone viene adoperato. Se ci si rifà alla situazione dello scorso anno ad esempio la risposta è certamente affermativa per la ragione che l'Ici sull'abitazione principale non si pagava. Se invece si torna indietro al 2007, ultimo anno di applicazione dell'imposta anche per le prime case, il discorso cambia, perché in realtà sugli appartamenti di basso valore (indicativamente quelli con rendita catastale fino a 500 euro) l'Imu potrebbe portare anche a un piccolo risparmio, mentre più si alza il valore fiscale della casa più la nuova imposta comporta aggravio di spesa. 

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Il ministero dell'Economia ha presentato nei giorni scorsi una serie di calcoli da cui emergono proprio queste considerazioni. Le tabelle partono confrontando aliquote Ici dello 0,4% con aliquote Imu dello 0,4%. In questa pagina cerchiamo di rendere meno teorico il confronto paragonando i costi effettivi dell'Ici 2007, quindi a partire da aliquote e detrazioni effettivamente applicate, con quelli dell'Imu nelle principali città italiane ipotizzando una famiglia-tipo composta da una coppia e un figlio. A Milano ad esempio una casa da 1.000 euro di rendita catastale (solo per dare un'idea, è un trilocale in una buona zona del semicentro) registrerebbe un incremento di costo di un solo euro se la giunta decidesse di tenere l'Imu allo 0,4%, mentre se optasse per l'aliquota 0,5% l'incremento sarebbe di 169 euro. Se si ipotizza una casa più grande in una zona centrale, con rendita da 2.500 euro, il gap salirebbe molto: con aliquota Imu allo 0,4% l'aggravio rispetto all'imposta del 2007 sarebbe infatti di 221,50 euro, che salgono a 641,50 euro con Imu allo 0,5%: infatti l'Ici era di 1.208,50 euro a fronte di Imu nelle due ipotesi considerate di 1.450 e 1.850 euro.


Nei calcoli abbiamo considerato solo aliquote allo 0,4% e allo 0,5% perché probabilmente in questo intervallo si posizionerà la maggior parte dei municipi, ad esempio la delibera già approvata dal comune di Roma prevede al momento lo 0,5% e Milano si appresterebbe a fare altrettanto. In teoria le amministrazioni potrebbero spaziare dallo 0,2% allo 0,6%, sempre che il governo, sulla base del gettito dell'acconto di luglio, non decida di cambiare le regole in corsa: ha tempo per farlo fino a settembre, mese entro cui i Comuni devono chiudere i bilanci. Per questo per Roma abbiamo anche considerato l'ipotesi di un'aliquota minore di quella già approvata. 
C'è però un'altra ragione per cui alla domanda originaria non è possibile dare una risposta univoca: in realtà quello che ai fini Ici era un'abitazione principale non lo è necessariamente anche per l'Imu, perché l'imposta precedente aveva criteri molto più generosi: se il proprietario di una casa la lasciava in uso a un figlio con un contratto di comodato ai fini Ici i comuni di norma equiparavano l'immobile all'abitazione principale, oggi questo non è più possibile perché la casa deve essere nel contempo residenza fiscale e dimora abituale del contribuente.
Sempre per questa ragione devono pagare con le aliquote della seconda casa gli immobili posseduti da anziani ricoverati in case di riposo (i Comuni tutt'al più possono rinunciare alla quota di loro spettanza, ma devono farsi carico dello 0,38% che va comunque allo Stato) o quelli posseduti da italiani all'estero. Infine se ampliamo il confronto con l'Ici agli immobili diversi dalla prima casa, e che quindi pagavano già lo scorso anno, il confronto dà sempre risultati negativi per il contribuente. Per le case tenute a disposizione l'incremento è temperato dal fatto che l'Imu assorbe anche l'Irpef fondiaria. Va però ricordato che le aliquote Ici arrivavano allo 0,7% con la possibilità nei Comuni ad alta tensione abitativa di salire allo 0,9%; con l'Imu le aliquote partono da una base imponibile più alta del 60% e i comuni hanno la possibilità di salire fino all'1,06% e molto probabilmente la maggior parte delle amministrazioni si attesterà vicino a tale quota (anche perché c'è lo 0,38% da dare allo Stato in tutti i casi).
Roma ha già deliberato per il massimo e anche Milano dovrebbe fare lo stesso. Peggio ancora vanno le cose a chi possiede una casa che dà in affitto perché in questo caso non c'è nessun vantaggio in termini di Irpef. Significa che a parità di aliquote l'Imu costerà il 60% in più dell'Ici.
Gino Pagliuca7 maggio 2012


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martedì 6 marzo 2012

Bagno nella mansarda, cosa fare se il regolamento vieta modifiche?

lf chiede:
Nel nostro regolamento condominiale contrattuale è specificato quanto segue: "Gli appartamenti devono essere adibiti esclusivamente ad uso di civile abitazione, con divieto assoluto di qualsiasi altra utilizzazione. Le autorimesse, le soffitte, e le cantine non possono essere adibite ad uso diverso da quello per il quale sono state costruite". Recentemente noi condomini siamo venuti a conoscenza che un condomino ha trasformato in bagno la soffitta confinante con la propria abitazione. Tale ristrutturazione è avvenuta alla nostra insaputa, ma non dell'amministratore, e solo presentando all'ufficio tecnico del comune la Dia. E' possibile aver fatto questa trasformazione senza alcuna autorizzazione all'unanimità da parte dell'assemblea? Ora come è possibile tutelarci dalla violazione di un preciso articolo del regolamento condominiale contrattuale? La ringrazio della risposta.

L'esperto risponde:

Le norme del regolamento contrattuale che vietano la modifica della destinazione d'uso degli immobili hanno lo scopo di tutelare il condominio dall'uso degli appartamenti per scopi commerciali rispetto a quello abitativo. Nulla impedisce l'installazione in una mansarda di un secondo bagno da parte del proprietario della mansarda stessa, tanto è vero che il condomino ha avuto la regolare autorizzazione del Comune. Non ci sono infatti norme che possano vietare di rendere più confortevole l'uso delle pertinenze della propria abitazione, nè alcuna norma che possa obbligare il proprietario ad avere l'autorizzazione degli altri condomini per ristrutturare il proprio appartamento come ritiene più opportuno, dato che la modifica avviene all'interno della proprietà privata. Inoltre nessuno ha il diritto di mettere in discussione l'utilizzo della mansarda, neppure per quel che riguarda l'allaccio agli impianti comuni, dato che anche questo è un diritto tutelato dalla legge, ossia dall'articolo 1102 del Codice civile. Quindi è stato del tutto corretto anche il comportamento dell'amministratore che non aveva nulla da comunicare all'assemblea in merito alla ristrutturazione.

martedì 28 febbraio 2012

Casa per il figlio, con una minima quota il padre può detrarre il 36%?

Maurizio D. I. chiede:
Desidero acquistare da un costruttore un appartamento in fase di ristrutturazione ed intestarlo a mio figlio universitario. Io già possiedo un appartamento nella stessa città acquistata anni fa come prima casa. Per avere un certo controllo sulla casa, il notaio mi ha prospettato la possibilità di essere proprietario di questo nuovo appartamento ad una percentuale minima. Ora mi chiedo, se opto per questa soluzione, posso io detrarre il 100% del valore delle agevolazioni fiscali in merito alle ristrutturazioni edilizie , in quando mio figlio non ha reddito, anche se sono proprietario di solo una piccola percentuale?

L'esperto risponde:

Le detrazioni per ristrutturazione spettano in base alle spese effettuate, a prescindere dalla quota di possesso dell'immobile. Qualunque sia la quota che lei deciderà di intestarsi potrà quindi godere delle detrazioni. Peraltro l'agevolazione è riconosciuta anche al familiare convivente del proprietario. Quindi anche se lei non si intesta la casa ma avvia i lavori finchè suo figlio è residente con lei, può godere dell'agevolazione.

sabato 25 febbraio 2012

Amministratore, se un condomino lo richiede diventa obbligatorio?

lf chiede:
In presenza di un caseggiato con 6 unità abitative di cui 2 con ingresso indipendente (singolo) e 4 con ingresso comune, è obbligatorio avere un amministratore? E' inoltre sufficente che un singolo condomino faccia richiesta di avere un amministratore per renderlo obbligatorio o deve essere deciso dalla maggioranza?

L'esperto risponde:

La legge, ossia l'articolo 1129 del Codice civile, stabilisce che " Quando i condomini sono più di quattro, l'assemblea nomina un amministratore".Non si deve, quindi, far riferimento al numero degli appartamenti ma solo a quello dei proprietari. Il fatto che esistano degli appartamenti con ingresso indipendente non ha alcuna influenza dato che in ogni caso anche chi non usa il portone è proprietario dei beni comuni. Inoltre, come stabilisce ancora lo stesso articolo, "Se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini." Quindi poiché uno dei condomini ha richiesto l'amministratore, la nomina diventa obbligatoria.

venerdì 24 febbraio 2012

Fine contratto, che fare se l'inquilino non lascia l'appartamento?

giuseppe c. chiede:
Nel mese di ottobre è terminato il contratto di locazione di un appartamento in uso come ufficio. L'inquilino ha chiesto un altro mese per effettuare il ripristino dell'immobile come da contratto omettendo i lavori di recupero delle persiane che si trovano in cattivo stato. Le persiane in dodici anni non hanno mai avuto alcuna opera di manuntenzione ordinaria come previsto nel contratto. Io personalmente ho provveduto a segnalare all'Agenzia delle entrate la denuncia di risoluzione del contratto pagandone la trascrizione. A tutt'oggi nonostante ripetute telefonate l'inquilino non mi ha restituito le chiavi dell'immobile che ho intenzione di riaffittare. Cosa posso fare?

L'esperto risponde:

In tutti i casi di contratto scaduto e inquilino che continua ad utilizzare l'appartamento lo fa senza averne titolo. Può quindi richiede al giudice lo sfratto per finita locazione.

Imposta sugli immobili all'estero, come si evita la doppia imposizione?

donatella d. chiede:
Possiedo una seconda casa in Francia. Dovendo versare la nuova imposta prevista dalla manovra Monti dello 0,76% sul valore a rogito, devo detrarre in sede di dichiarazione dei redditi l'imposta versata per lo stesso anno al fisco francese. L'imposta da detrarre è la Tax d'Habitation oppure la Tax Foncière? Il documento fiscale, l'unico in mio possesso con gli importi a cui fare riferimento, è un Avis d'Imposition che riporta le rate già pagate e quelle rimanenti da pagare, tutte entro l'anno di riferimento. E' corretto conservare questo per eventuale esibizione se richiesto? Grazie. (Giuseppe D.)
 La nuova tassa sugli i mmobili all'estero non è una doppia imposizione? Si può fare ricorso?

L'esperto risponde:

L'imposta patrimoniale sugli immobili posseduti all'estero, al fine di evitare la doppia imposizione, prevede il diritto di detrarre dall'importo dovuto le tasse patrimoniali eventualmente pagate all'estero. Nel caso della Francia la Taxe Foncière è una tassa sulla proprietà immobiliare. Si dovrà, quindi, detrarre dall'imposta dovuta la somma pagata in Francia a questo titolo, come risulta dalla documentazione in suo possesso che dovrà esibire in caso di controlli. (24 febbraio 2012)

giovedì 23 febbraio 2012

Condomini morosi, in quali casi gli altri sono tenuti a pagare?

nicola p. chiede:
Varie sentenze in materia, attualmente i condomini di un palazzo sono tenuti al pagamento in solido verso terzi per la quota di un condomino moroso? Grazie.

L'esperto risponde:

Non c'è alcun obbligo di legge che imponga ai condomini in regola di farsi carico delle quote dei morosi, come chiarito dalla Cassazione fin dal 2001 con la sentenza 13631 nella quale ha precisato che è nulla la delibera che impone ai condomini in regola di farsi carico delle somme non versate dai morosi, a meno che la delibera stessa non sia stata approvata all'unanimità. E' possibile solo, "in caso di effettiva urgenza, come, ad esempio, per evitare azioni esecutive da parte di creditori del condominio, una deliberazione assembleare che costituisca un apposito fondo cassa, allo scopo di sopperire all'inadempimento del condominio moroso, con conseguente obbligo del condominio di restituire ai condomini in regola con i pagamenti le somme così percepite, dopo aver recuperato dagli insolventi quanto dagli stessi dovuto". Quindi si deve istituire un fondo cassa per pagare i fornitori per evitare eventuali operazioni di recupero crediti da parte dei fornitori stessi. Contemporaneamente, però, l'amministratore ha l'obbligo di legge di avviare il recupero delle morosità tramite decreto ingiuntivo. Se non lo fa va sostituito.

mercoledì 22 febbraio 2012

Contratto prorogato, si deve lasciare l'appartamento se sono necessari lavori?

Betty D. chiede:
Al mio contratto di locazione 4+4 sono scaduti gli otto anni e si è appena rinnovato alle medesime condizioni, non avendo ricevuto dalla proprietaria nessuna raccomandata per rinnovo a nove condizione o per il suo diniego. La proprietaria però voleva farmi stipulare un nuovo contratto con importo maggiore (che avtrei potuto anche accettare) ma c'erano delle clausule per me non convenienti e non convincenti e non voleva darmi del tempo per informarmi e così non ho accettato. Solo che ora lei mi ha detto (anche se il contratto si è rinnovato) che devo lasciare l'appartamento libero perchè deve rifare il bagno. Controllando il contratto in effetti c'è questa clausola "In caso di rifabbrica, anche parziale o rettifico dello stabile, si riterrà risolta la locazione , se così crederà il locatore, senza indennizzo a norma dell'art.1603 c.c. e col semplice preavviso di sei mesi dalla di comunicazione". Se mi manda la raccomandata sei mesi prima, può mandarmi via perchè deve rifare il bagno o è una clausula contraria alla legge? Grazie mille per la risposta.

L'esperto risponde:

L'articolo 3 delle legge 431/1998 sulle locazioni abitative stabilisce che il contratto può essere disdetto quando il locatore intende realizzare interventi di ristrutturazione sull'immobile e la presenza dell'inquilino rende impossibili questi lavori. La proprietaria ha quindi legittimamente il diritto di dare disdetta del contratto senza dovere per questo nessuna penalità, dato che la legge sulle locazioni prevede espressamente questa possibilità.

martedì 21 febbraio 2012

Raccomandata mai ricevuta, ha valore per la disdetta del contratto?

Giuliano O. chiede:
La proprietaria mi mi ha detto a dicembre 2011 che le è ritornata indietro per compiuta giacenza una raccomandata per il rinnovo del mio contratto di locazione 4+4, a nuove condizioni o per il suo diniego, da lei speditami a febbraio 2011 (otto mesi prima della scadenza degli 8 anni), non avendo io trovato in cassetta la ricevuta per il suo ritiro e la propritaria per dieci mesi, la vedo ogni due mesi per pagarle le spese condominiali, non mi ha mai parlato di questa raccomandata ha comunque valore legale? Grazie mille per la risposta.

L'esperto risponde:

Se il proprietario può dimostrare di averle inviato la raccomandata nei termini, ossia secondo la scadenza per l'invio prevista nel contratto, la disdetta è valida anche se la raccomandata le è tornata indietro per compiuta giacenza, a meno che lei non possa dimostrare di non averla ricevuta per un errore delle poste. Lo stabilisce l'articolo 1335 del Codice Civile in base al quale "La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra  dichiarazione  diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia." Dovrete, quindi, chiarire la vicenda. (21 febbraio 2012)

lunedì 20 febbraio 2012

Casa al mare, la madre può intestarla alla figlia per non pagare l'Imu?


Guglielmo R. chiede:

Mia madre vedova vive in un appartamento di proprietà ed ha un secondo appartamento di proprietà al mare. Dovrebbe quindi pagare l'Imu per entrambe le proprietà. Mia sorella invece vive in un appartamento in fitto. La domanda è: mia madre potrebbe intestare la seconda casa di proprietà a mia sorella per pagare meno Imu?

L'esperto risponde:

L'Imu è dovuta per tutti gli immobili che si possiedono. Nulla vieta a sua madre di effettuare una donazione con atto notarile a sua sorella per non pagare le imposte. La donazione è comunque un atto che anticipa l'eredità, occorrerà, quindi, con l'occasione effettuare anche una divisione ereditaria, poichè lei non può rinunciare all'eredità finché sua madre è ancora in vita. (20 febbraio 2011)

sabato 18 febbraio 2012

Caldaia rotta, spetta un indennizzo all'inquilino?

sara v. chiede:
Nel caso di un contratto di affitto di 4+4 anni,si verifichi la rottura della caldaia, le spese spettano al locatario o al conduttore? Essendo il conduttore rimasto a seguito di tale rottura senza riscaldamento ed acqua calda per più di 7 giorni, è possibile appellarsi a qualche ente per eventuali rimborsi? Si tenga presente che vi sono nell'abitazione bimbi piccoli. Grazie per i consigli

L'esperto risponde:

Le spese per la sostituzione degli impianti che si rompono perchè sono vecchi o per caso fortuito spetta al proprietario dell'appartamento, come prevede l'articolo 1590 del Codice civile. Se la rottura è dovuta alla mancata manutenzione annuale che è obbligatoria per l'inquilino, spetta invece all'inquilino acquistare il nuovo impianto. Quanto all'eventuale indennizzo, l'articolo 1584 del codice precisa che "Se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento. Indipendentemente dalla sua durata, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto." Potrebbe, quindi, teoricamente chiedere uno sconto sul canone per la settimana nella quale ha subito disagi. Può provare per questo a rivolgersi ad una delle associazioni degli inquilini. (16 febbraio 2012)

Riscaldamento troppo costoso, possibile il distacco dall'impianto?

giacomo p. chiede:
Sono proprietario in Liguria di una seconda residenza, per il riscaldamento del condominio era stato scelto un contratto 'servizio calore'. personalmente lo ritengo eccessivamente oneroso tanto che presso altri condomini con impianti di riscaldamento senza tale contratto la spesa è decisamente inferiore. Mi è possibile staccarmi dall'impianto centralizzato, e a quali condizioni? Grazie

L'esperto risponde:

Il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato è un diritto dei condomini se non esiste un divieto nel regolamento contrattuale. Per legge, però, chi si distacca è tenuto a pagare comunque le spese di mantenimento dell'impianto, senza dover versare quelle di consumo. per il distacco non occorre l'autorizzazione dell'assemblea ma una perizia tecnica che dimostri che in questo modo non si creeranno danni agli altri condomini

Da riscaldamento centralizzato a autonomo: quali regole per il distacco dall'impianto comune

di Antonella Donati
Il costo del riscaldamento centralizzato è una delle voci più elevate tra le varie bollette condominiali almeno nel caso di immbili costruiti prima dell'entrata in vigoredell'obbligo di contabilizzatori di calore. Per questo la secltar tar centralizzato ed autonomo è spesso dibattuta nei condomini che hanno più di 10 anni. Ecco regole e vantaggi di un cambio di regime.
Quando la scelta la fa il condominio - Per passare da riscaldamento centralizzato ad autonomo è sufficiente la maggioranza semplice dei condomini, nel caso in cui la decisione riguardi tutto il condominio. Lo prevede la legge 9 gennaio 1991, n. 10 "Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia". L'articolo 26 in particolare stabilisce che per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili "sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali" . Una scelta volta a incentivare il passaggio a sistemi più efficienti e destinati anche a ridurre i consumi. E di recente anche staccarsi come singolo dall'impianto centralizzato è diventato più semplice.
La Cassazione e le regole per staccarsi da soli - Infatti è sufficiente  predisporre una documentazione tecnica dalla quale risulti che con il distacco non c'è pregiudizio per gli altri condomini, ossia che questi non saranno tenuti a pagare di più, perché l'impianto era stato tarato per servire un certo numero di appartamenti,e si può modificare l'impianto. L'indicazione viene da una sentenza della Corte di Cassazione - la n.5974 del 25 marzo 2004  - che ha stabilito che è  "legittima la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale ed il distacco dall'impianto centralizzato, senza necessità di autorizzazione o di accettazione da parte degli altri partecipanti, ove l'interessato dimostri che dalla rinunzia e dal susseguente distacco non derivi un aggravio di spese per i condomini che continuano ad usufruire, né uno squilibrio termico pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio. La documentazione può essere predisposta da qualsiasi tecnico abilitato, e peraltro già chi fornisce il servizio di installazione dell'impianto deve essere in grado di mettere a punto tutta la documentazione stabilita dalla legge. Anche se ci si stacca, però - e lo ha ribadito anche la sentenza della Cassazione - non ci si può esimere dal pagare le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto in quanto la caldaia rientra tra le  proprietà comuni. Nulla invece sarà dovuto per l'acquisto del combustibile. Se però il regolamento contrattuale - ossia quello firmato all'atto di acquisto dell'immobile e accettato da tutti i condomini - dovesse prevedere un contributo riscaldamento anche da parte di chi si distacca, per modificare la norma occorrerebbe l'unanimità.
Gli incentivi per chi cambia caldaia - Infine non va dimenticato che per chi secglie caldaie a condensazione è prevista la detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi pagati. L'agevolazione vale sia  per le caldaie domestiche che per gli impianti condominali.